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Odissea
Odissea
“Questa sera mi affitto due musicisti, li porto nella piazza del paese e faccio il botto! Stasera succede un casino...”. Così entra in scena Telemaco, figlio
di un Ulisse mai tornato, e comincia il suo spettacolo
d’arte varia. Non risparmia nulla, a sé stesso e agli altri: racconta, come sa e come può, la sua versione dei fatti. E ogni sentimento si fa carne viva sulla scena e diventa corpo,
parole in musica,
avanspettacolo,
versi sciolti e danza,
odissea a brandelli di un ragazzo che non sa tenere insieme i cocci
di una storia quella di suo padre
che non sta più in piedi. Per Telemaco il tempo dell’attesa è
scaduto: è ora di fare spettacolo.
La mia Odissea

C’è un personaggio nell’Odissea che, da sempre, cattura la mia attenzione, un personaggio che molti non ricordano neanche: Telemaco.
Ho provato a chiedere in giro e, difatti, molti ricordano il cane di Ulisse Argo, mi pare.. ma non il
figlio.
Io, invece, ne ho sempre subito il fascino, perché la sua attesa è carica di suggestioni. Telemaco non ha ricordi di Ulisse, non l’ha mai visto, non sa come è fatto, non sa il suono della sua voce: per Telemaco, Ulisse è solo un racconto della gente.
Ed è proprio questa assenza ad aprire infinite possibilità nei pensieri di Telemaco. Lui è l’unico
personaggio dell’Odissea che può costruire un’immagine di Ulisse calibrata a suo piacimento. I pensieri
di Telemaco, forse, sono l’unico luogo dove Ulisse può essere ancora un eroe.
Ma gli eroi durano il tempo di un romanzo e questo Telemaco lo sa...
È così che ho disancorato Telemaco dal tempo degli eroi e l’ho trascinato qui, nel ventunesimo secolo,
avvilito da una madre reclusa in casa; assediato dal
la gente del paese che, non sapendo che fare
tutto il giorno al bar della piazza, mormora della sua “follia” e della sua famiglia mancata; circondato
dal mare del Salento, invalicabile e affamato di vite umane. Solo così potevo immaginare un’odissea mia, contemporanea, solo portando la leggenda a noi, in questo nostro tempo così disarticolato e privo
di certezze.
E dunque si mescolano nella
scrittura il mito e il quotidiano, Itaca e il Salento, i versi di Omero e il dialetto leccese, legati insieme da una partitura musicale rigorosa, pensata ed eseguita dai musicisti che mi accompagnano in questo lavoro e diventano anch’essi, con i loro molteplici strumenti, voci musicali del
racconto.
Parla cu’ mmie, Mùseca, cunta, de lu cristianu chinu de mmalizie,
ca anni e anni prattecau lu mare, dopu ca tutta Troia ebbe squartata..
“Questa sera mi affitto due musicisti, li porto nella piazza del paese e faccio il botto! Stasera succede un casino...”. Così entra in scena Telemaco, figlio
di un Ulisse mai tornato, e comincia il suo spettacolo
d’arte varia. Non risparmia nulla, a sé stesso e agli altri: racconta, come sa e come può, la sua versione dei fatti. E ogni sentimento si fa carne viva sulla scena e diventa corpo,
parole in musica,
avanspettacolo,
versi sciolti e danza,
odissea a brandelli di un ragazzo che non sa tenere insieme i cocci
di una storia quella di suo padre
che non sta più in piedi. Per Telemaco il tempo dell’attesa è
scaduto: è ora di fare spettacolo.
La mia Odissea

C’è un personaggio nell’Odissea che, da sempre, cattura la mia attenzione, un personaggio che molti non ricordano neanche: Telemaco.
Ho provato a chiedere in giro e, difatti, molti ricordano il cane di Ulisse Argo, mi pare.. ma non il
figlio.
Io, invece, ne ho sempre subito il fascino, perché la sua attesa è carica di suggestioni. Telemaco non ha ricordi di Ulisse, non l’ha mai visto, non sa come è fatto, non sa il suono della sua voce: per Telemaco, Ulisse è solo un racconto della gente.
Ed è proprio questa assenza ad aprire infinite possibilità nei pensieri di Telemaco. Lui è l’unico
personaggio dell’Odissea che può costruire un’immagine di Ulisse calibrata a suo piacimento. I pensieri
di Telemaco, forse, sono l’unico luogo dove Ulisse può essere ancora un eroe.
Ma gli eroi durano il tempo di un romanzo e questo Telemaco lo sa...
È così che ho disancorato Telemaco dal tempo degli eroi e l’ho trascinato qui, nel ventunesimo secolo,
avvilito da una madre reclusa in casa; assediato dal
la gente del paese che, non sapendo che fare
tutto il giorno al bar della piazza, mormora della sua “follia” e della sua famiglia mancata; circondato
dal mare del Salento, invalicabile e affamato di vite umane. Solo così potevo immaginare un’odissea mia, contemporanea, solo portando la leggenda a noi, in questo nostro tempo così disarticolato e privo
di certezze.
E dunque si mescolano nella
scrittura il mito e il quotidiano, Itaca e il Salento, i versi di Omero e il dialetto leccese, legati insieme da una partitura musicale rigorosa, pensata ed eseguita dai musicisti che mi accompagnano in questo lavoro e diventano anch’essi, con i loro molteplici strumenti, voci musicali del
racconto.
Parla cu’ mmie, Mùseca, cunta, de lu cristianu chinu de mmalizie,
ca anni e anni prattecau lu mare, dopu ca tutta Troia ebbe squartata..
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